Ricordo di Don Giovanni Voltolini

pagina creata e curata da Matteo Catellani - qualsiasi contributo è ben accetto

 

La mattina del 1° maggio 2009 

ha lasciato la vita terrena, 

all'età di 80 anni, 

Don Giovanni Voltolini, 

sacerdote diocesano, 

Servo della Chiesa 

e grande missionario. 

Per alcuni anni abbiamo avuto la grazia 

di averlo come parroco 

a Masone e Castellazzo

               - di don Emanuele Benatti

             - di don Emanuele Benatti

             - di S. E. Mons. Adriano Caprioli

 

 

UNA VITA DA MISSIONARIO ARDENTE

 
Termini familiari, indicatori di relazione amichevole, conviviale, ricca di umanità e di estrema semplicità, in tutto, nel vestire come nel parlare, nel celebrare come nell’accogliere.
 
Primo figlio di una famiglia numerosa e cristiana, è cresciuto all’ombra della cupola della Ghiara, attirato dalla spiritualità di p. Torelli dei Servi di Maria prima, e dalla figura di don Torreggiani e don Altana, Servi della Chiesa, in seguito, quando sentì più chiaramente la chiamata al sacerdozio.
 
I primi anni di ministero lo videro presto impegnato nella pastorale diretta, popolare e operaia nello Scandianese, come parroco di Ventoso e Ca’ de’ Caroli e cappellano delle ceramiche. Non era facile in quegli anni e in quell’ambiente, segnato dalla uccisione del predecessore don Carlo Terenziani, farsi accettare e benvolere da tutti. Il Dongio ci riuscì, forte anche delle credenziali che gli venivano dalla “ghenga”, quel robusto gruppo di giovani amici da lui formato, decisi a scrollarsi di dosso gli odi di partito, gli steccati di religione e di cultura, amanti della buona tavola, della sana compagnia, dello sport e della giustizia sociale.
 
Saranno, e lo sono ancora, gli “Amici del Dongio”, oggi l’omonima Associazione Onlus, impegnata a sostenere le iniziative missionarie di don Giovanni in Madagascar. Molti di loro si sono avvicinati alla Chiesa e alla fede. Tutti hanno sempre trovato nel Dongio un fratello e un padre. Ed è vicino a loro, nella Casa della Carità “G. Baroni” della parrocchia Santa Teresa, a Scandiano, che don Giovanni ha voluto ritirarsi, nel giugno del 2008, per terminare il suo cammino terreno e prepararsi all’incontro con il Signore, in compagnia degli amici di gioventù. Quando, alcuni mesi fa, gli chiesi se volesse andare in una Casa della Carità diversa, si inalberò vivacemente: “io qui sto da Dio!”…
 
Personalmente, lo conobbi nei primi mesi del ’63, proprio quando era a Ca’ de’ Caroli. Sulla porta dell’ufficio stava appeso il cartello “UCAS” (Ufficio Complicazioni Affari Semplici), che lui si guardava bene dal togliere. L’ho visto spesso sorridere divertito, anzi compiaciuto delle battute maligne o maliziose degli amici. Ma l’ho visto anche piangere e chiedere, supplicando, il perdono, in Madagascar, per una “gaffe” che aveva inavvertitamente offeso la sensibilità di alcuni malati. Il perdono l’ottenne, anche se con fatica. Qualcuno in quella circostanza lo difese così: “a don Giovanni si deve perdonare tutto, perché lui dimentica tutto, e prima di tutto sé stesso”.
 
Ecco, il suo sapersi dimenticare e offrire, il suo voler essere utile e servire, gli era, per così dire connaturale, fino a farlo sembrare o diventare invadente, sostitutivo, paternalista… gli è stato spesso rimproverato, ma non è servito a molto.
 
Carità intraprendente, servizio immediato, concreto, anche a costo di essere circuito o buggerato: “meglio sbagliarsi aiutando chi non ha bisogno, che sbagliarsi rifiutando l’aiuto a chi ha bisogno” diceva spesso.
 
Il Dongio era così: con il motore sempre acceso, la marcia sempre ingranata, il piede sempre sull’acceleratore. Partire “lancia in resta”, investirsi, farsi carico, prendere a cuore, arrabbiarsi per un’ingiustizia fatta o subita da chiunque, era frutto di automatismo spirituale, anzi, segno di responsabilità imbevuta di Vangelo.
 
Chissà!… E’ solo casuale che abbia finito per trascorrere gli ultimi anni del suo servizio terreno a Masone, nella parrocchia di S. Giacomo Maggiore, detto “Boanerghes”, “figlio del tuono”, come suo fratello (Mc 3,17)? Insieme, con zelo contestatore, avrebbero voluto far scendere il fuoco sui samaritani che avevano rifiutato Gesù.
 
Certamente don Giovanni deve aver riflettuto sulla risposta di Gesù ai due: il fuoco lo teneva dentro e lo canalizzava per il meglio. Certo, a volte esplodeva in parole duramente veraci o espressioni contundenti, ma scattava presto in lui come un estintore automatico e tutto finiva lì.
 
Così, mentre qualcuno, la sera, ancora si torceva pentito o risentito, lui s’era già addormentato, ascoltando (tutte le notti) Radio Radicale, meritevole di rispettare il suo sonno, non radicalmente diverso da quello di tanti parlamentari.
 
Ora, in cielo, troverà altre cose da fare e siccome starà veramente “da Dio”, non s’arrabbierà più, neanche se provocato dalle umane nefandezze.
 
Solo, ogni tanto, sarà tentato di scappare sulla terra, per dire ai piccoli malagasy e non solo a loro: “Ohi, zaza, tapero, tapero fa tsara!” “Oh, figlio mio, mangialo tutto (il riso), finiscilo, che ti fa bene!”.
 
don Emanuele Benatti

 

  
 
Discorso pronunciato ai funerali di don Giovanni Voltolini (4 maggio 2009) da don Emanuele Benatti
SUPERIORE DEI SERVI DELLA CHIESA E DIRETTORE DEL CENTRO MISSIONARIO DIOCESANO

Don Giovanni, sei venuto al mondo il giorno di S. Giovanni Bosco, 80 anni fa; sei partito per l’eternità il giorno di S. Giuseppe; sarai sepolto, oggi, giorno della beatificazione del gitano martire spagnolo Céférino, detto el Pélé. Tre santi: il primo, un santo educatore; il secondo, un santo lavoratore; il terzo, un santo viaggiatore; ognuno di loro ha lasciato in te la sua impronta.
 
Tutti e tre, conoscitori della vita operaia, spesso dura; tutti e tre, amici della gioventù, sempre bisognosa di amore; tutti e tre, amanti della vita di famiglia, semplice e dignitosa.
 
Come il terzo, Céférino, el Pélé, anche tu sei stato chiamato spesso con un appellativo: “il Dongio”, o “ny dadabe”, il grande papà…
 
Sei cresciuto in una famiglia numerosa e cristiana. “Ny hazo vanon-ko ho lakana, ny tany naniriany no tsara”: “se da un albero è stata tratta una piroga, quell’albero è cresciuto in una buona terra”, la tua famiglia, appunto, cui va tutta la nostra riconoscenza.
 
E sei cresciuto all’ombra di questo Santuario, guidato dall’amato p. Torelli, prima di conoscere don Torreggiani, il quale da piccolo, ogni giorno, a piedi, con le scarpe in spalla da Masone, veniva a scuola proprio in via Guasco, dove tu sei nato.
 
E spesso anche lui, molto prima di te, passava in Ghiara per una visita al Santissimo e una preghiera alla Madonna.
 
E qui, in Ghiara, don Dino, don Altana, tu stesso e tutto i sacerdoti “Servi della Chiesa” hanno celebrato la prima Messa.
 
Possiamo ben dirti che sei stato baciato dalla Grazia, sempre. E tu, a ragione, come San Paolo, puoi risponderci: “la grazia di Dio in me non è stata vana” e “per grazia di Dio sono quello che sono!”…
 
Che cosa sei, don Giovanni?! Ora tu lo sai, con chiarezza totale, solo tu e il Signore Gesù.
 
Ognuno di noi può solo raccontare parzialmente, e a fatica, quello che sei stato e resti per lui, per lei, per la tua famiglia di sangue, per la Diocesi e il Vescovo, per i Servi e le Serve della Chiesa, per tanti confratelli, per gli amici della “ghenga”, gli operai delle ceramiche, i parrocchiani di Cà de’ Caroli - Ventoso, Nosy Be, Masone e Castellazzo, di tutta l’Unità Pastorale “Madonna della Neve”, per le Case della Carità, per il Foyer e i malati di Ambositra, per gli amici e i fratelli lontani, in Sicilia, in Spagna, in Albania, in Brasile, in Cile e altrove nel mondo.
 
Ognuno di loro, di noi si porta dentro e custodirà con riconoscenza qualcosa della tua umanità, della tua passione per Gesù e il Vangelo, del tuo servizio alla Chiesa e all’uomo: soprattutto quello più debole e sofferente, spesso quello socialmente meno apprezzato o addirittura immeritevole, quell’uomo che per te, comunque, restava degno di attenzione, di rispetto, di misericordia.
 
Grazie, don Giovanni, per questa testimonianza essenziale da vero prete, vero padre nella Chiesa, vero servo della Chiesa!
 
Grazie anche per il tuo sereno, evangelico distacco dalle persone, dalla famiglia naturale, dai vecchi amici, dalla parrocchia, dagli interessi della vita, dagli stessi beni umanamente irrinunciabili, come la salute.
 
Quando desti la tua disponibilità per la missione in Madagascar, nel ’67, qualcuno di noi provò a frenarti: “ma dove vai, Dongio, con un rene solo?! E se ti succede qualcosa? Non temi per la tua vita?!”. “Gli ospedali e i cimiteri ci sono anche in Madagascar”, fu la tua risposta scherzosa, disarmante, come tante altre volte.
 
Grazie, Dongio, sei stato proprio come l’Ape regina: “maty namela mamy” (morendo lascia dolcezza).
 
Noi, intanto, riprenderemo il cammino, sulla strada del servizio, ispirati dalle parole di San Paolo che tu stesso, ancora recentemente, ci hai raccomandato: “Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù”.

 

Omelia del Vescovo Caprioli al funerale di don Voltolini
 

GESÙ IL PASTORE chiama le sue pecore e le conduce fuori


  Omelia di commiato per Don GIOVANNI VOLTOLINI

 


  Non si è ancora spento il cereo pasquale, simbolo del Signore Risorto, “luce del mondo”, che ancora una volta la nostra Chiesa è chiamata a dare l’estremo saluto ad un suo presbitero, e a ricevere dalla Parola di Dio il supplemento di luce di cui ha bisogno. Che cosa ci ha proclamato Gesù nella pagina di Vangelo prevista nella liturgia di questo giorno (Gv 10,1-10)?


  Gesù pastore “fuori dal recinto”


  Nel Vangelo che abbiamo ascoltato si parla del pastore, dell’ovile, della porta e, naturalmente, delle pecore. Come si armonizzano queste immagini? Che cosa fa questo pastore di cui parla Gesù? Soprattutto dove vuole arrivare il messaggio di Gesù? C’è chi ha fatto osservare che nella similitudine del pastore ci sono tre verbi di movimento: entrare, condurre fuori, camminare avanti  


C’è, sullo sfondo di questa antica similitudine, la figura stessa di Dio come pastore, un’immagine che i Salmi evocano spesso mettendola nel cuore stesso del patto di alleanza di Dio con il suo popolo, come suggerisce il Salmo responsoriale (scelto in questa liturgia in rapporto al Vangelo): “È lui il nostro Dio, noi il popolo del suo pascolo, il gregge che egli conduce” (Sal 95,7). La novità del Vangelo è che Gesù attribuisce a se stesso questa immagine di Dio, tipica del popolo dell’esodo, l’immagine di Dio liberatore dalla terra di schiavitù per condurre il suo popolo sotto la guida di Mosè verso la terra promessa.


È sullo sfondo di questo Dio dell’esodo, che, come il nuovo Mosè, Gesù entra per la porta dell’ovile, chiama le sue pecore ad una ad una e le conduce fuori. E quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. È da notare la forza del verbo “le conduce fuori”, che letteralmente suona come un “cacciare fuori le pecore dal recinto”. E dopo che le pecore sono state “cacciate fuori” inizia il cammino dietro a Gesù capofila di una nuova umanità in cammino verso una vita diversa.


Ecco quello che il Buon Pastore fa nella nostra vita: egli deve entrare nel recinto in cui siamo prigionieri, e cacciarci fuori; egli ci libera! Certo, Gesù parla qui ai suoi contemporanei, che lui deve liberare dal “recinto”, dalla vecchia Legge. Ma, analogamente, questo vale per tutti: egli deve entrare nei “nostri recinti”, dai quali non riusciamo ad evadere, e buttarci fuori. Sì, ognuno di noi ha i suoi recinti nei quali sostanzialmente si trova molto comodo, e solo la voce dell’unico Pastore autorizzato ci può liberare.


Perciò, chi si lascia liberare da Cristo, cammina con lui, avrà come risultato una vita piena che si espande in tutti i suoi aspetti. Vivrà in piena libertà di movimento. Gesù è l’unico che può liberare, l’unico autorizzato a entrare nel vecchio recinto per far uscire le sue pecore. “Ladri” sono allora tutti coloro che abbiano la pretesa di sostituirsi a Gesù pastore, pretendendo di sostituire la sua autorità presso le pecore con la loro autorità.


Prete, diocesano, missionario  


È ascoltando questa pagina di vangelo che la Chiesa ci offre nella liturgia del giorno — giorno di commiato da questa figura di pastore che è don Giovanni Voltolini — che faccio mia la testimonianza di chi lo ha conosciuto più da vicino attorno a questi tre aspetti: prete, diocesano, missionario.


A 18 anni entra in Seminario. Il 5 agosto del ’51 è prete per le mani del vescovo Beniamino Socche. Già in teologia nasce una profonda amicizia spirituale con Don Alberto Altana e decide di entrare nei Servi della Chiesa. A lui è affidato come direttore il collegio S. Giuseppe, il Seminario dei Servi della Chiesa a Guastalla.


Don Giovanni come prete inizia come formatore dei probandi e dei novizi dell’Istituto dei Servi della Chiesa. Non si può dire che non abbia conosciuto e sperimentato su di sé le fatiche e le attese dell’educatore, il compito della guida che, come il pastore conosce ad una ad una le sue pecore, le chiama per nome, ascolta e si fa ascoltare, tanto più che “servi della Chiesa” si è ad uno ad uno, ciascuno con il suo nome, le sue sensibilità, peculiarità.


Come prete diocesano don Giovanni non si risparmia di fronte alle necessità della Diocesi. Non è un caso che a Ventoso nel ’55, dove don Giovanni già collaborava come aiuto festivo, alla rinuncia del parroco Don Dario Cigarini, accetta di diventare parroco, restando servo della Chiesa, portando qui la scuola apostolica avviata dal fondatore dei Servi don Dino per collaboratori laici parrocchiali — l’idea in germe dei futuri diaconi permanenti —, ed educando ad allargare i confini della parrocchia alle nuove realtà di una società in movimento, come cappellano del lavoro tra gli operai delle ceramiche.


Ma è come missionario, che don Giovanni dà il meglio di sé quale prete e diocesano, inviato nel 1967 con la prima equipe dal vescovo Baroni in Madagascar nella storica missione, confermata l’anno successivo dalla lettera pastorale La Chiesa diocesana in stato di missione. La missione è stata per lui come l’uscita del buon pastore dal recinto: prima come parroco a Nosy-Be nella capitale poi ad Ambositra tra i lebbrosi del Foyer (per un totale di quasi 25 anni!); infine, ritornato in Diocesi, viene eletto Responsabile generale dei Servi, ancora di nuovo in viaggio, in particolare verso l’allora costituenda missione in Cile dell’Istituto.  


Il “Dongio” era così: con il motore sempre acceso, la marcia sempre ingranata, il piede sempre sull’acceleratore. Partire “lancia in resta”, investirsi, farsi carico, prendere a cuore, arrabbiarsi per un’ingiustizia fatta o subita da chiunque, era frutto di un automatismo spirituale. Davvero era il pastore che dava la vita: lavorando quando doveva riposare, andando in giro quando era meglio fermarsi, guidando quando faceva già fatica, parlando quando dove tacere.  


Anche nella malattia, nei frequenti ricoveri all’ospedale si muoveva sempre da prete missionario, allacciando rapporti e conversazioni con tutti, “come un leone anche se in gabbia”, meglio come un pastore fuori dal recinto dei suoi stessi curatori.


Ora, in cielo, se non troverà altre cose da fare, per cui muoversi, lanciarsi, arrabbiarsi, siamo sicuri che sta già pregando, perché altri qui in terra lo sappiano fare, ciascuno secondo il dono ricevuto.  

 


Preghiera


L’Eucaristia che celebriamo — sacramento del Cristo, memoria del Dio dell’esodo in cammino con il suo popolo —, grazie anche alla testimonianza lasciata in eredità da Don Giovanni prete diocesano missionario, continui a sostenere la nostra stessa esistenza cristiana, come singoli e come comunità, a sostenere i doni e le vocazioni che il Signore ha dato, nel cammino verso la patria futura, quella vera.

 

+ Adriano VESCOVO


Basilica B. V. della Ghiara - Reggio Emilia, 4 maggio 2009


*     *     *     *     *

 

Il DonGio e Cà dè Caroli

Ricordi, frammenti di memoria, immagini per un racconto collettivo

La chiesa di Cà de Caroli di Scandiano (RE)

 

Un libro scritto dall'ex sindaco di Scandiano sulla figura di Don Giovanni 

nel periodo in cui è stato parroco a Ventoso - Cà dè Caroli

 

L'ex Sindaco Comunista Valda Busani, ha scritto un libro sulla figura straordinaria di Don Giovanni Voltolini. Si chiama "Il DonGio e Cà dè Caroli", col sostegno del Circolo Culturale Ricreativo "Le Ciminiere" e il Gruppo di Solidarietà "Amici del Dongio". Don Giovanni che ha lasciato la sua eredità al Madagascar, moriva la mattina dello scorso primo maggio all'età di 80 anni. Il libro della Busani, 161 pagine, si legge tutto di un fiato e il lettore si lascia trasportare da ricordi, frammenti di memoria, immagini per un racconto collettivo. Don Voltolini fu a Ventoso - Ca' de' Caroli nel periodo caldo del dopoguerra, dove per 22 anni  svolse il servizio pastorale, prima come vicario economo e poi come parroco. A Scandiano è ancora attivo il comitato di solidarietà "Amici del DonGio", che opera in ambito missionario. Gli scandianesi dai capelli bianchi, ricordano don Giovanni Voltolini anche come battagliero cappellano all'allora Ceramica Amic, detta La Scandianese, quando nel distretto partiva l'industria delle piastrelle. Fu dunque impegnato in una pastorale diretta, popolare e operaia. Non era facile in quegli anni e in quell'ambiente, segnato dalla uccisione del predecessore don Carlo Terenziani, farsi accettare e benvolere da tutti. Il DonGio ci riuscì, forte anche delle credenziali che gli venivano dalla "ghenga", quel robusto gruppo di giovani amici da lui formato, decisi a scrollarsi di dosso gli odi di partito, gli steccati di religione e di cultura. Il legame affettivo con Scandiano era così forte, che DonGio gli ultimi mesi della sua vita, li ha trascorsi come ospite della Casa della Carità "Gilberto Baroni" . Nella sua intensa e generosa esistenza, Don Giovanni nel 1967, si rende disponibile per una destinazione, che rappresenta una svolta nella sua vita: parte come missionario in Madagascar, dove vi rimane per 24 anni. 
E' stato uno degli undici missionari della prima grande spedizione missionaria (sacerdoti, suore e laici) che il 23 novembre 1967 arrivarono in Madagascar, raggiungendo Don Pietro Ganapini e Don Piergiorgio Gualdi. Anche in quella terra la sua presenza è stata una luce per tanti: la sua accoglienza, generosità e intensa spiritualità.
Valda Busani, che conobbe don Giovanni da bambina, scrive il libro con passione e sapienza, dedicando spazio a molti racconti collettivi che ricostruiscono la storia di questo sacerdote che ha lasciato un segno profondo a Ventoso-Cà de' Caroli. Anche una via è stata a lui dedicata: il viottolo che da Via Strucchi porta alla Chiesa parrocchiale. Inaugurata a tempo di record... a pochi giorni dalle elezioni amministrative.
Bella la ricerca fotografica che ripercorrono la storia di Don Giovanni a Ventoso. Dall'ingresso in parrocchia, il giorno dell' Immacolata del 1955, ai ragazzi e ragazze riunite alla chiesa in momenti di festa. Poi le lettere di suo pugno che il Don scriveva ai suoi ragazzi, le sue poesie  e le foto delle escursioni. I "Santini" che don Giovanni distribuiva nelle fabbriche, nel suo apostolato di cappellano del lavoro, con frase autografa e gli auguri puntuali che arrivavano da Ambositra, da Missionario in Madagascar. Tra le ultime immagini, la festa per i 50 anni di sacerdozio a San Ruffino il 18 giugno del 2001 e la festa al Circolo Le Ciminiere nell'estate di due anni fa. Infine a pagina 161, il ricordino di Don Giovanni Voltolini, Servo della Chiesa. 
 
                                        Gianni Fiaccadori  su Il Resto del Carlino ed. Reggio Emilia del 24 ottobre 2009

Il DonGio e Ca' de 'Caroli - Ricordi, frammenti di memoria, immagini per un racconto collettivo” di Valda Busani edito da Le Ciminiere e Amici del DonGio. Il libro ha un prezzo di 20 euro, tutti per beneficenza al Madagascar, la terra tanto amata dal Dongio

  torna all'home page