RIFLESSIONI SUL VIAGGIO NELLA LOCRIDE Siamo
partiti da Gavasseto domenica pomeriggio, 12 agosto, con due pulmini
prestati dalle parrocchie di Rubiera e Montecavolo. Il gruppo, capitanato
da don Matteo e formato da una ventina di persone del nostro Vicariato, si
è subito amalgamato. Fin dall’inizio è stata empatia e voglia di stare
insieme per condividere un’esperienza d’incontro e di scambio. Un
ringraziamento da tutti noi va a don Matteo, sempre presente e attento
alle necessità di ciascuno, per aver organizzato tutto nel migliore dei
modi superando non poche difficoltà e imprevisti. Il
viaggio di andata è durato 15 ore. A casa abbiamo lasciato il pesante
bagaglio del pregiudizio, operazione necessaria quando si va a conoscere
una realtà nuova e diversa dalla nostra. Come
in ogni viaggio lungo che si rispetti, abbiamo alleggerito il percorso
facendo alcune soste. In una di queste abbiamo ammirato un cielo
straordinario che ci ha regalato delle stelle cadenti. E poi è stata
l’alba. Dovremmo vedere più spesso questo spettacolo della natura che
si risveglia e si rianima; quasi l’avevo dimenticato. Non si può
raggiungere l’alba senza attraversare prima il sentiero della notte. Era
l’alba quando Cristo è risorto. Giorno nuovo, vita nuova. Penso spesso
alla figura di S. Maria Maddalena, prima testimone cui è apparso Gesù
Risorto. Lei, che tanto aveva peccato. Quanta grazia, quanta speranza! E
quale speranza per la Calabria? Con
l’alba, l’arrivo del sole ha gettato luce sui colori della terra
calabrese, così forti e densi che sembrano sprigionare una grande
energia. Energia che viene certamente accolta da chi vi abita: c’è chi
la usa negativamente per fare opere di male, ma questa è soltanto una
minoranza che purtroppo appare come la bandiera calabrese. Ma c’è anche
chi la usa positivamente e si tratta della maggior parte della
popolazione. Ma questo certamente non fa notizia! La
Calabria ha due volti: è una terra amara e generosa. Noi ne abbiamo fatto
esperienza. Abbiamo conosciuto gente accogliente, mi riferisco a
quell’accoglienza che ha sapore di umanità; gente di buona volontà,
gente che cammina a testa alta, che non si rassegna di fronte al male
ricevuto, di fronte ai pregiudizi e alle dicerie. Gente che continua a
sperare in un cambiamento anche quando tutto sembra andare nella direzione
opposta. La
Calabria è una terra benedetta dal Signore, una terra dove si rinvengono
tracce evidenti di santità e di grazia. A seguirle ci si ritrova davanti
al mistero di Dio, quello dell’Amore. Ci sono persone che perdonano
delitti atroci, che ricominciano da capo, che si rimboccano le maniche per
costruire una società più giusta e più umana. E tu non puoi che
chiederti: “Come si può accettare tanto dolore e andare avanti? C’è
un limite alla sofferenza? Come si può camminare sotto il peso di simili
croci?”. La risposta ce l’ha data Mons. Giancarlo Bregantini, Vescovo
di Locri-Gerace, il giorno della solennità dell’Assunta: “Bisogna
attingere alla fontana di speranza che è il cuore di Maria”.
Parafrasando il Vangelo del giorno, il Vescovo ha indicato gli antidoti
alla disperazione, a un cuore stanco, amaro e superficiale: l’incontro
con l’altro nella logica della gratuità, sull’esempio di Maria che
visitò Elisabetta; magnificare e rendere grazie, fare grandi le cose,
stimarsi reciprocamente; esultare e benedire il Signore. Di
fronte ai problemi della Locride, ogni singolo si sente schiacciato,
impotente, ma quando si è uniti e solidali le cose cambiano. “Il vento
della tribolazione che soffia può spegnere certamente la fiamma di una
candela” ha osservato Mons. Bregantini “ma quando c’è un incendio
il vento che soffia non solo non lo spegne ma lo alimenta. Quindi, dipende
da quanto è grande il fuoco”. Nel Vangelo di domenica scorsa Gesù
dice: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra” (Lc 12,49). È il
fuoco dell’amore e della verità. E la nostra fiamma quanto è grande?
Quanto sono accese le nostre comunità? Quanta condivisione c’è con le
sofferenze e le gioie dell’altro? Siamo certi di aver abbattuto la
barriera dell’indifferenza? Si
sente spesso dire: “non posso certo risolvere io i problemi della
‘ndrangheta, un gigante potente in grado di schiacciarti in qualsiasi
momento”. Penso
alle parole di un altro riformatore del Sud, il Vescovo don Tonino Bello,
quando ai funerali del sindaco di Molfetta, ucciso nel 1972, disse: “Chi
ha sparato non è un mostro. È un nostro! Un nostro concittadino che,
come ultima miccia, ha dato fuoco alle polveri di cui almeno un granello,
ce lo portiamo tutti nell’anima” (Cfr. Sud a caro prezzo. Il
cambiamento come sfida, Edizioni La meridiana). È facile e purtroppo vero
constatare che lo Stato oggi è latitante, che le istituzioni sono alla
deriva. Ma cosa facciamo noi, come singoli e come comunità per prevenire
il disagio e il degrado sociale? Quanto investiamo di noi stessi per
diffondere la cultura della nonviolenza e della pace? Il Vescovo
Bregantini ha osservato che quello cui stiamo assistendo non è solo un
problema della Locride, ma un problema regionale e nazionale. Nel
Magnificat si legge che il Signore “ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili”, “abbatte i prepotenti, manda a mani vuote i
ricchi e disperde i superbi nei loro progetti di morte”, come ha
sottolineato il Vescovo Bregantini. In questi giorni ho letto sui giornali
cosa significa la parola ’ndrangheta: “società di veri uomini”,
traducibile anche con “virilità” o “coraggio”. C’è chi cresce
nella convinzione che per affermarsi nella società bisogna dimostrare di
saper uccidere, di dominare. Umana fragilità! Chi ne esce sconfitta è la
sacralità della vita. Il Vescovo ha più volte rivolto un appello alle
donne, perché siano educatrici alla pace e al perdono. Ma
a uccidere a volte c’è anche l’arma della calunnia, carica di
pallottole pronte a screditare un sacerdote o un laico che si espone,
insinuando il dubbio nel cuore della gente. In
grande umiltà ci sono persone, come il Vescovo Bregantini, che lavorano a
piccoli passi, cercando la collaborazione di tutti, dal Nord al Sud
Italia. Prima di andare via ci ha consegnato un messaggio da portare a
voi: dire a tutti che esiste un altro volto della Calabria, purtroppo
offuscato per opera di una minoranza. “Siate messaggeri di coraggio
attraverso le parole, per seminare non immagini di morte ma di
speranza!”. La Calabria è un giardino, ha ripetuto spesso il Vescovo,
da curare e far rifiorire. In esso si trovano tesori nascosti da mettere
in luce. Il
giorno di Ferragosto è stato Mons. Bregantini stesso a darci la
drammatica notizia di quanto accaduto in Germania. Sono stati uccisi sei
giovani di San Luca, un comune della Locride, non molto distante dalla
Casa di Mamre, la Casa dove eravamo ospitati, gestita dalla Cooperativa
Pinocchio, socia del Consorzio Sociale Goel fortemente voluto dal Vescovo
per disegnare nuovi
percorsi formativi e di integrazione lavorativa nella Locride. “Di
fronte a episodi così eclatanti bisogna rispondere con segni di vita
forti”, ha detto Mons. Bregantini dopo la tragica notizia. “Le offese
vanno subito lavate nelle lacrime e nel perdono e non nel sangue”.
“Non lasciamoci scoraggiare. A un dolore così grande dobbiamo
rispondere con un amore grande”. “I
genitori di Francesco G., il minorenne rimasto ucciso nell’agguato,
hanno perdonato chi ha commesso un simile gesto” ci ha detto don Pino
Strangio, parroco di San Luca. “E questo è un miracolo, una grande
testimonianza che getta semi di speranza per la pace”. A casa abbiamo
portato le parole di don Pino, il suo dolore ma anche il suo sorriso. Che
testimonianza: riuscire a sorridere anche nella sofferenza. Lo abbiamo
incontrato nel Santuario della Madonna della Montagna di Polsi, di cui è
Rettore, mèta di pellegrinaggio per i calabresi che proprio in questo
periodo si mettono in cammino per raggiungerlo. La festa patronale,
infatti, si celebra il 2 settembre. Una data in cui si teme possa esserci
un altro episodio eclatante in risposta alla strage avvenuta in Germania.
Da tempo, infatti, i malavitosi scelgono i giorni delle festività
liturgiche per compiere simili atti. Il
Santuario di Polsi si trova in Aspromonte, sotto il comune di San Luca, un
paese fantasma, in questi giorni ancora più tetro. L’abbiamo
attraversato: sembrava di essere in un paese del terzo mondo. Sono rimasti
impressi il degrado, i bidoni della spazzatura e i segnali stradali forati
da colpi di arma da fuoco. In alcuni tratti il paesaggio sembrava evocare
il deserto: non c’era alcuna forma di vita. Ma poi, inoltrandoci nella
montagna dell’Apromonte, abbiamo scoperto che la vita c’era: era
nascosta. Arrivati al Santuario ci ha accolto don Pino, che ha aperto il
suo cuore pieno di dolore ma anche di speranza. Abbiamo
anche conosciuto i volti di chi si espone operando nelle Cooperative del
Consorzio Goel. Ci hanno chiesto di condividere il loro operato nel modo
che ciascuno preferisce: pregando, diffondendo i loro lavori, sostenendo
il commercio dei loro prodotti (per informazioni è possibile visitare il
sito www.bottegasolidale.com
oppure chiamare il numero di tel. 0964.410017). C'è chi segue le attività della Cooperativa della Valle del Bonamico
(dove si coltivano i “lamponi a Natale”). Lo sforzo di questa Cooperativa è quello di dare
fiducia, di dare un’occasione anche agli abitanti del posto di aprire un’attività onesta,
dignitosa, attraverso la coltivazione di piantine di frutti di bosco
(provenienti dal Trentino) in serre localizzate proprio nel territorio che
rappresenta il cuore della malavita. Oltre all’ingegnosa produzione dei
frutti nel periodo più vantaggioso per il mercato (ossia fuori stagione),
colpisce l’idea di suscitare nel cuore della Locride il cambiamento per
un’epoca di pace e giustizia a partire da chi non ha mai operato “alla
luce del sole”. È questa la speranza di un cambiamento, lento ma
efficace, per estirpare il male. Mons. Bregantini ha ricordato una frase
del Vangelo: “Non sia turbato il vostro cuore”. Il cambiamento ci sarà.
Certo, i tempi sono lunghi, ma il processo è avviato. A noi resta la
scelta di condividere questo cammino nel modo che riteniamo più adeguato,
oppure puntare altrove lo sguardo del nostro cuore. Vorrei
concludere con un pensiero di don Tonino Bello che mi sembra illuminante:
“La Via Crucis non è mai stato uno spettacolo da godersi alla finestra.
Quando passa il corteo, bisogna scendere sulla strada e prendere
posizione”. (E. A.) |